Il mercato globale odierno costringe le aziende e i professionisti ad una continua rincorsa verso il nuovo, il futuro, il meglio. Non c’è settore che sia escluso da questa competizione e le tempistiche richieste sono sempre strettissime.
Pensiamo all’ambito informatico o allo sviluppo senza sosta delle nuove tecnologie. Per ottenere la leadership di settore, un’azienda deve necessariamente affannarsi e correre veloce come il vento. Le competenze necessarie per non rimanere indietro sono in continua evoluzione e i ritmi sono serrati. Inoltre si stanno sviluppando nuove forme organizzative, come lo smart working, con le quali il lavoro viene decentralizzato.
In un simile contesto, il ruolo del manager diventa sempre più difficile ed è proprio per questo che le caratteristiche di questa figura chiave stanno cambiando. Per poter cogliere al volo le opportunità, essere i primi e i più veloci e adeguarsi ai continui cambiamenti, i manager hanno bisogno di un aiuto efficace da parte dei collaboratori e devono essere in grado di guidarli verso l’obiettivo finale.
In altre parole, non basta essere un capo, bisogna diventare un leader.
Come sta evolvendo la figura del manager?
Il manager autoritario
Se diamo uno sguardo al passato, ma ci sono tutt’ora, gran parte delle aziende era guidata da quello che si può definire un “manager autoritario”.
Il suo stile di conduzione è fortemente gerarchico, dall’alto verso il basso, non ci sono collaboratori ma sottoposti che devono obbedire alla lettera ai suoi comandi, senza possibilità di dialogo. Ai dipendenti non è richiesto di ragionare e trovare soluzioni, ma di eseguire gli ordini, senza riflettere su eventuali alternative.
Il manager autoritario è il centro assoluto dell’azienda, tutto deve passare sotto il suo naso e tutte le decisioni spettano a lui. Non conosce il significato della parola “delegare”, tranne che in rarissimi casi. Sono poche le persone di cui si fida e che ritiene in grado di fare un lavoro corretto, di conseguenza tende ad accentrare quasi tutte le responsabilità su pochi collaboratori, attentamente selezionati.
Evita le lodi costruttive, anche di fronte a un ottimo lavoro, per paura che il dipendente si “rilassi” ma, al contrario, non perde occasione di tenere alta l’attenzione esprimendo critiche in caso di problemi.

Insomma, un capo indubbiamente competente ma che non è in grado di relazionarsi correttamente con i propri collaboratori. Ti riconosci in questa descrizione? Allora continua a leggere e forse troverai qualche spunto su cui riflettere.
Quello che serve è un leader
Per poter far fronte alle insidie quotidiane, sostenere i ritmi frenetici e puntare sempre più in alto, anche un manager con una grande esperienza professionale e un enorme know how tecnico non può fare tutto da solo. Il ruolo dei collaboratori diventa sempre più importante ed è necessario che all’interno dell’azienda ci sia un elevato grado di autonomia dello staff.
Ma la difficoltà sta proprio qui: cosa deve fare un manager per fare in modo che i collaboratori siano un aiuto e non un ostacolo?
Vi ricordate la famosa scena del film Braveheart, quando il patriota scozzese William Wallace (Mel Gibson) incita i suoi uomini alla battaglia, mettendosi in prima fila ed infondendo coraggio e fiducia ai suoi uomini? Ecco, questo è un leader. Ora togliete il cavallo, la spada e il kilt, ma mantenete lo spirito del personaggio.
Il manager di oggi deve essere un leader: un uomo visionario, coraggioso, volto al cambiamento, che infonde fiducia e sicurezza nella propria squadra, per puntare a nuovi obiettivi. Questo è il “manager coach”.

Il manager coach
A differenza del manager autoritario, il manager coach ha un’idea di gestione aziendale basata sulla collaborazione, sul coinvolgimento e sulla valorizzazione dei colleghi. Non basta che i collaboratori abbiamo le giuste competenze, ma devono anche avere la motivazione e la maturità per poter gestire autonomamente molteplici situazioni.
Il manager coach ispira e stimola i collaboratori responsabilizzandoli. Li osserva in azione, ascolta il resoconto sul lavoro svolto e li stimola all’autovalutazione.
Non dà ordini, ma assegna compiti, non dice cosa, come e quando fare ma fissa un obiettivo e chiede quale possa essere il modo più efficace per raggiungerlo, ascoltando e ragionando con il collaboratore, il quale avrà la possibilità di agire autonomamente e responsabilmente per risolvere il problema.
Promuove un ambiente di lavoro positivo ed entusiasmante. Non ha paura di lodare un buon operato e allo stesso tempo ha la capacità di non lasciarsi andare a feedback negativi non costruttivi, ma al contrario favorisce il dialogo ed il confronto per identificare e correggere gli aspetti inefficaci del processo produttivo. Mette a disposizione la propria esperienza per aiutare i collaboratori a trovare soluzioni alternative nei momenti critici.
Delega ad altri ciò di cui non è strettamente necessario che si occupi in prima persona, guadagnando tempo prezioso per dedicarsi a cose più importanti.
Il manager coach si concentra sulla persona, ma con il mirino puntato sull’obiettivo finale: far crescere le persone e il team porta inevitabilmente al miglioramento delle performance e quindi a una migliore produttività.
Il processo è chiaro: il coach accompagna il collaboratore in un percorso di acquisizione e sviluppo di nuove competenze, dedicandogli del tempo, stimolandolo e sostenendolo. Il collaboratore si impegna maggiormente, acquisisce sicurezza e si assume delle responsabilità dando vita a performance più efficaci.
Coach o autoritario: vantaggi e svantaggi
Mettendo a confronto i due metodi, sembra chiaro che lo stile del manager coach si possa adottare in qualsiasi settore e a qualsiasi livello manageriale con molteplici vantaggi:
– migliore capacità di reagire ai cambiamenti da parte del manager e di tutto il team;
– clima positivo, disteso e produttivo;
– maggior consapevolezza, sicurezza, motivazione al miglioramento e senso di appartenenza al progetto;
– maggior senso di responsabilità, spirito di iniziativa e problem solving dei collaboratori;
– migliori performance.
Al contrario, lo stile manageriale autoritario sembra essere assolutamente meno efficace. La mancanza di stimoli, la carenza di elogi e l’eccesso di critiche non favoriscono la crescita professionale dei collaboratori e lo spirito di squadra. Un modello del genere presenta controindicazioni soprattutto se applicato ad uno staff costituito da persone esperte e affidabili, anzi risulta addirittura controproducente.
L’unica situazione in cui, probabilmente, lo stile autoritario può essere vantaggioso è in caso di crisi.
Tu che tipo di manager sei o che tipo di manager vorresti essere?